Paleolitico: i primi uomini
I primi uomini giunsero in Sardegna da una terra vicina: dall'Africa, dalla Penisola italiana o dalla Penisola iberica. Le tracce più antiche lasciate dall'uomo nell'isola sono costituite dagli strumenti di pietra scheggiata ritrovati a Perfugas (SS), risalenti al Paleolitico inferiore, (500000-100000 a.C.) e da quelli ritrovati ad Oliena (NU), presso la grotta Corbeddu, risalenti al Paleolitico superiore (35000-10000 a.C.).
I primi uomini giunsero in Sardegna da una terra vicina: dall'Africa, dalla Penisola italiana o dalla Penisola iberica. Le tracce più antiche lasciate dall'uomo nell'isola sono costituite dagli strumenti di pietra scheggiata ritrovati a Perfugas (SS), risalenti al Paleolitico inferiore, (500000-100000 a.C.) e da quelli ritrovati ad Oliena (NU), presso la grotta Corbeddu, risalenti al Paleolitico superiore (35000-10000 a.C.).
Il Neolitico
Nei primi due millenni del Neolitico (6000-2700 a.C.) l'isola iniziò ad essere abitata stabilmente e diffusamente. I sardi di questo periodo abitavano in grotte e ripari sotto roccia, luoghi che utilizzavano anche per dare sepoltura ai loro morti. Questi uomini si cibavano dei molluschi che trovavano abbondantemente lungo le coste e di piccoli animali come il prolagus, una specie di grosso topo oggi estinto. Costruivano arpioni e punte di freccia utilizzando una pietra vetrosa d'origine vulcanica, l'ossidiana, che si trova in gran quantità nel Monte Arci, presso Oristano. Adoperavano vasi di ceramica e spesso li decoravano premendo, sull'argilla ancora fresca, con il bordo di una conchiglia della specie cardium: per questo motivo la ceramica di quel periodo è chiamata "cardiale". Questi uomini dovevano avere una profonda religiosità: le statuette femminili in basalto testimoniano il radicamento del culto della Dea Madre, cioè una visione della natura come madre dispensatrice di vita.
Nei primi due millenni del Neolitico (6000-2700 a.C.) l'isola iniziò ad essere abitata stabilmente e diffusamente. I sardi di questo periodo abitavano in grotte e ripari sotto roccia, luoghi che utilizzavano anche per dare sepoltura ai loro morti. Questi uomini si cibavano dei molluschi che trovavano abbondantemente lungo le coste e di piccoli animali come il prolagus, una specie di grosso topo oggi estinto. Costruivano arpioni e punte di freccia utilizzando una pietra vetrosa d'origine vulcanica, l'ossidiana, che si trova in gran quantità nel Monte Arci, presso Oristano. Adoperavano vasi di ceramica e spesso li decoravano premendo, sull'argilla ancora fresca, con il bordo di una conchiglia della specie cardium: per questo motivo la ceramica di quel periodo è chiamata "cardiale". Questi uomini dovevano avere una profonda religiosità: le statuette femminili in basalto testimoniano il radicamento del culto della Dea Madre, cioè una visione della natura come madre dispensatrice di vita.
La Cultura di Bonu Ighinu
Nel Neolitico medio (4000-3500 a.C.) fiorisce la cultura di Bonu Ighinu che prende il nome dalla grotta nel sassarese dove, per la prima volta, ne furono rinvenute le tracce. Gli uomini di Bonu Ighinu sapevano coltivare il grano e addomesticavano gli animali. Vivevano ancora in grotta, ma furono anche i primi Sardi a vivere in villaggi di capanne. In questo periodo i defunti iniziarono ad essere sepolti nelle grotticelle artificiali, tanto frequenti in Sardegna, chiamate in sardo domus de janas (It. case delle fate). I vasi in ceramica prodotti dagli uomini di Bonu Ighinu sono più raffinati ed eleganti, con pareti più sottili e lucide, decorate o inornate. Il culto della Dea Madre è l'elemento centrale anche della loro religiosità come testimoniano le statuette femminili dalle forme obese rappresentanti la natura, realizzate in pietra, argilla ed osso.
Nel Neolitico medio (4000-3500 a.C.) fiorisce la cultura di Bonu Ighinu che prende il nome dalla grotta nel sassarese dove, per la prima volta, ne furono rinvenute le tracce. Gli uomini di Bonu Ighinu sapevano coltivare il grano e addomesticavano gli animali. Vivevano ancora in grotta, ma furono anche i primi Sardi a vivere in villaggi di capanne. In questo periodo i defunti iniziarono ad essere sepolti nelle grotticelle artificiali, tanto frequenti in Sardegna, chiamate in sardo domus de janas (It. case delle fate). I vasi in ceramica prodotti dagli uomini di Bonu Ighinu sono più raffinati ed eleganti, con pareti più sottili e lucide, decorate o inornate. Il culto della Dea Madre è l'elemento centrale anche della loro religiosità come testimoniano le statuette femminili dalle forme obese rappresentanti la natura, realizzate in pietra, argilla ed osso.
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