Lanaitto & Corrasi (NU)

Immensi gli spazi aperti,immense le creste che si stagliano in linea retta a formare un muro difensivo nell'entroterra... immensa la gioia di ammirare tale paradiso colorato da una flora incantevole e abitato da una moltitudine di specie animali selvatici del tutto "Sardizzati" grazie al passare dei millenni ed all'innesorabile evoluzione delle specie,del tutto autoctona,che ha portato alla distinzione vera e propria,tra fauna sarda e fauna continentale italiana.   La valle di Lanaitho è situata tra il comune di Oliena e Dorgali...Geograficamente antistante il massiccio granitico del Corrasi,che comprende la cima più alta del nostro Supramonte,1463 metri sul livello del mare.
In cima il sole è più vicino,l'aria è straordinariamente pura e limpida,si scorge il golfo di orosei che in linea d'aria è vicinissimo...
Numerosissimi i luoghi suggestivi,i profumi,i colori,i suoni della natura che lasciano spazio ad un benessere interno mai provato prima...
Panorama di Oliena e dell'Ortobene alle spalle(vista dal Corrasi,NU)

In cima al monte,a 1100mt. in direzione orientale si nota il Golfo di Orosei

Parete Granitica

Oliena dall'alto

Vallata Granitica 1

Vallata Granitica 2

Vallata Granitica direzione Sud

Vallata Granitica direzione Sud 2

In prossimità dello strapiombo direzione Ovest
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Sardegna Romana

Tempio di Antas (Sid Addir per i Cartaginesi) e Sardus Pater per i Nuragici






E' probabile che già nel VI sec. a.C. il primo trattato tra Roma e Cartagine sancisse la possibilità per Roma di esercitare i propri traffici commerciali in Sardegna. Nel IV sec. a.C. si può ipotizzare la fondazione della colonia romana di Feronia (Posada) sulla costa orientale dell'isola. 


È il secondo trattato tra Roma e Cartagine (348 a.C.) che proibisce ai Romani di accedere e di fondare città in Sardegna. 




La fine della prima guerra punica, conclusasi con la vittoria di Roma su Cartagine, determina il passaggio della Sardegna sotto il dominio romano. Il passaggio non rientrava tra le clausole del trattato di pace stipulato nel 241 a.C., ma scaturì dalla decisione di Roma di aderire alla richiesta di aiuto dei mercenari di Cartagine di stanza in Sardegna, ribellatisi a causa dell'impossibilità per Cartagine di far fronte alle loro richieste di pagamento. 




Nel 227 Roma crea una nuova provincia comprendente la Corsica, la Sardegna e le isole circostanti. Viene così sancito formalmente l'effettivo controllo di Roma sulla Sardegna, che rimarrà dominio romano sino al passaggio (avvenuto tra il 460 e il 467 d.C.) sotto il controllo dei Vandali. 




Il periodo di dominazione romana della Sardegna è una fase storica che contribuirà significativamente alla definizione dei connotati culturali dei sardi. Indiscutibile testimonianza di questo dato di fatto ci viene offerto dal panorama linguistico isolano, profondamente segnato ancora oggi dalle proprie origini latine. 


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La sindrome di Quirra

parte 1
parte 2
parte 3
parte 4
parte 5


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Storia e Preistoria della Sardegna


Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
Parte 5
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I Fenici in Sardegna

Foto panoramica di Tharros
Nel periodo di massimo sviluppo della civiltà nuragica, intorno al X secolo a.C., la Sardegna cominciò ad essere frequentata da altre popolazioni mediterranee che instaurarono con i sardi una serie di rapporti, inizialmente solo commerciali, poi anche politici e militari; i primi furono iFenici.
La Fenicia era un'arida striscia di terra tra i monti del Libano e il mare, nel bacino orientale del Mediterraneo; non adatta all'agricoltura, era invece ricca di coste che facilitavano i viaggi. Fu così che i Fenici, popolazione d'origine semitica, si dedicarono alla navigazione e al commercio, arrivando a spingersi addirittura oltre lo stretto di Gibilterra. Durante i loro viaggi approdavano sui litorali stranieri, fondando numerose colonie che divennero importanti basi commerciali.
Attratti dalla fertilità del suolo e dalla ricchezza delle miniere, fra il 1000 e il 900 a.C. raggiunsero anche le coste sarde.

In una colonna sepolcrale risalente al IX secolo a.C. (la stele di Nora, conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari) che ricorda l'erezione di un tempio al dio cipriota Pumay, compare per la prima volta il nome "Sardegna", più esattamente il toponimo SHRDN, mancante di vocali come in tutte le lingue semitiche.
Inizialmente i Fenici crearono piccoli centri che utilizzavano come scali marittimi; ma nel giro di un secolo questi insediamenti si trasformarono in città vere e proprie.
Karalis, Nora, Bithia, Tharros, Sulcis divennero i punti di riferimento per i traffici nel Mediterraneo che ancora non conosceva il dominio dell'impero Romano.
Nacquero altri centri minori e anch'essi svolsero un ruolo di rilievo: è il caso di Othoca, e Cornus presso Oristano, di Neapolis nei pressi di Santa Maria di Nabui e di Monte Sirai presso Carbonia.
I rapporti tra le popolazioni nuragiche e i Fenici furono probabilmente pacifici: la collocazione costiera delle città fenicie, in zone in cui non esistevano precedenti insediamenti nuragici, fa pensare che non esistessero ragioni di conflitto fra loro; si suppone invece che ci fosse un rapporto di collaborazione e di scambio commerciale.
Il contatto con i Fenici portò ai popoli dell'isola vantaggi sia di carattere spirituale sia materiale. Oltre alla scrittura i Nuragici conobbero la città, una forma di organizzazione della comunità per loro nuova e conobbero divinità diverse rispetto a quelle che avevano adorato per secoli.
Migliorarono anche le condizioni di vita dei nuragici, che impararono a sfruttare più a fondo le risorse naturali dell'isola: ai Fenici si deve l'introduzione delle coltivazioni della palma e dell'ulivo; le tecniche per la produzione del sale, e per la pratica della pesca.
I Fenici aiutarono i Sardi a sfruttare i giacimenti minerari, fecero conoscere loro il ferro e l'oro, portarono nell'isola prodotti esotici: calderoni e porta torce bronzei, raffinate ceramiche e vasetti di olio profumato.
Fonte:Il sardo.it
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La Sartiglia




Video


I tamburi rullano incessantemente, il cavaliere ha indosso la Maschera di un Dio misterioso e impugna la spada tenendola dritta davanti a sé. Si leva in piedi sulla sella mentre il cavallo sfreccia a perdifiato sulla pista, al galoppo sfrenato. Pochi secondi dopo, il boato del pubblico accompagna la punta del fioretto che infilza la stella. È fatta. La gente acclama Su Cumpoidori ed esulta davanti a quel trofeo mostrato con orgoglio e vanto.
Immagini della Sartiglia

È così che l’ultima domenica e il martedì di Carnevale, ogni anno, Oristano diventa capitale della Sardegna. C’è la Sartiglia. Festa dai mille simboli, festa della magia, della prosperità e della miseria, del dolore e della speranza.
Foto dal libro -Sagre di Sardegna- ed. L'Unione Sarda
Da Via Sant’Antonio, passando per il Duomo, sino a Via Vittorio Emanuele e Piazza Mannu, un fiume di persone, provenienti dalle città e dai paesi di tutta l’isola, si accalca ai bordi di un tracciato di terra e paglia. Ad ogni edizione, su quel percorso pestato dagli zoccoli dei cavalli si riversano secoli di storia. E un fragore di urla e applausi guida le gesta del cavaliere, quando la spada trafigge la stella.
La Sartiglia non è una semplice celebrazione dei riti carnascialeschi, non è nemmeno la riproduzione di una giostra medioevale, né una mera esibizione di audaci e aitanti cavalieri. Dentro la Sartiglia convivono elementi di tradizione e cultura tramandati da centinaia d’anni. In questa manifestazione, che ad Oristano è vissuta con intensità emotiva indescrivibile sin dai tempi del Giudicato d’Arborea, sopravvivono probabilmente alcuni degli aspetti più interessanti e inesplorati della ritualità pagana, contaminata dai cerimoniali di origine cristiana.




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Sulcis Iglesiente...


IL PARCO GEOMINERARIO



L’area del  Sulcis  si estende nella parte sud-occidentale dell’isola per una superficie di circa 1.450 Kmq, parte integrante della più vasta regione storico geografica del Sulcis-Iglesiente. Prende il nome dall’antica città punica di Sulcis o Sulci oggi Sant’Antioco.
Il Sulcis propriamente detto corrisponde al versante sud-occidentale dei Monti del Sulcis e alla piana sottostante fino alla costa che si affaccia sul Canale di Sardegna, dal Golfo di Gonnesa al Capo Spartivento, includendo per affinità geografiche le Isole di San Pietro e di Sant’Antioco.
La natura geologica risulta complessa  per le sue origini antichissime risalenti a circa seicento milioni di anni (Cambriano) : la morfologia è caratterizzata da rilievi di modesta altitudine tra i 600 e i 900 metri, ad eccezione di alcune vette che superano i 1000 metri risparmiate dall’erosione superficiale delle intrusioni magmatiche e delle metamorfiti originatesi prima dell’orogenesi ercinica. Il versante occidentale è addolcito dai processi erosivi e alluvionali mentre la parte più interna con il versante orientale risulta più aspra e irregolare. Nel versante occidentale sono presenti le più antiche formazioni carbonatiche dell’isola e fenomeni di carsismo (Grotte di Is Zuddas).


Gli eventi successivi al Carbonifero e al Permiano, rappresentati dall’erosione post-ercinica e dai sollevamenti tettonici del Cenozoico hanno causato l’affioramento di intrusioni magmatiche (leucograniti) e metamorfiche (scisti), rendendo eterogenea e irregolare la morfologia della porzione orientale.
Le vette più alte, osservabili con facilità dalla piana del Cixerri, dal Medio Campidano e dai rilievi Iglesienti, si individuano facilmente nel massiccio monolitico del Monte Arcosu con profilo trapezoidale e nelle cime frastagliate del Monte Lattias. Più ad ovest troviamo il profilo triangolare del Monte Is Caravius; le formazioni più ad ovest culminano con profili  regolari del Monte Orri e di Punta Orbai.
L’area include territori appartenenti ai comuni di Assemini, Calasetta, Capoterra, Carbonia , Carloforte, Decimomannu, Domus De Maria, Giba, Masainas, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Portoscuso, Piscinas, Pula, Santadi, Sant’Anna Arresi, Sant’Antioco, San Giovanni Suergiu, Sarroch, Siliqua , Teulada, Tratalias, Villamassargia, Villaperuccio, Villasor, Villa San Pietro e Uta. Anche in quest’area del parco l’attività mineraria è stata molto intensa soprattutto a partire dalla metà del 1.800, raggiungendo il culmine negli anni cinquanta/sessanta arrivando alla definitiva loro chiusura negli anni settanta e ottanta.


Nell’area sono presenti numerosi siti minerari tra i quali meritano un particolare cenno per la loro importanza giacimentologica, quello carbonifero di Serbariu (Carbonia)  e quelli metalliferi di Rosas (Narcao), Orbai (Villamassargia). Altri siti meno complessi dal punto di vista della grandezza del giacimento minerario, ma altrettanto interessanti per la peculiarità mineralogica sono quelli di San Leone (Capoterra), Capo Becco (Carloforte), Sa Marchesa (Nuxis).
Il territorio del Sulcis possiede inoltre un interessante patrimonio naturalistico-geologico vista la presenza di oasi naturalistiche (Monte Arcosu), di monumenti naturali (L.R. n. 31 del 07.06.1989) come Le Colonne (Carloforte), Domo andesitico dell’Acquafredda (Siliqua), di siti di importanza comunitaria come Promontorio, Zona Umida e Dune di Porto Pino (Sant’Anna Arresi), Zona Umida di Is Pruinus (Sant’antioco).
Numerosa la presenza di siti archeologici nel Sulcis fra i quali meritano particolare cenno le necropoli di Montessu (Villaperuccio), di Pani Loriga (Santadi), Fortezza Fenicio-Punica di Monte Sirai (Carbonia), Area Archeologica di Sant’Antioco.

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Documentario sulla Sardegna


(Da una Tv Bielorussa), ma fotunatamente sottotitolato in italiano
Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 4
Parte 5
Parte 6



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AlisPicture Blog

Bellissimo blog consigliatissimo!!!



seguono tanti altri bellissimi disegni sul sito....

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Un'alternativa al nucleare!

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Is Launeddas...










Andreas Fridolin Weis Bentzon (Copenaghen1936 – Copenaghen21 dicembre 1971) è stato un musicologo danese.                                                   

È stato il primo studioso ad occuparsi in modo organico e moderno delle launeddasstrumento musicale della Sardegna.
Qua sotto riportato il suo breve film intitolato is Launeddas:

                                                                        PARTE 1
PARTE 2

PARTE 3

PARTE 4

PARTE 5


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Dai Nuraghi all'Unesco

Dalle vaste piane del Campidano agli aspri monti calcarei della Gallura fino all'entroterra Barbaricino...L'armonia gutturale di una primitività tutta sarda entra a far parte di un patrimonio mondiale... Nel 2005 L'Unesco Ha tutelato il canto a Tenore Sardo come patrimonio immateriale e intangibile dell'umanità...Le notizie sulla datazione delle origini di quest'arte canora sono troppo vaghe per permetterci una precisa collocazione cronologica: alcune testimonianze, risalenti all'epoca pre-cristiana, accennano ad un misterioso canto a quattro voci, eseguito dai prigionieri di Roma provenienti dalle zone interne dell'isola; c'è però chi fa risalire la nascita del tenore addirittura al Periodo Nuragico, altri punti di vista ci portano a presupporre ipotesi alternative rispetto alle precedenti, ma nessun documento fornisce notizie concrete...Parlando di canto a tenore, può capitare spesso di imbattersi in un uso scorretto della terminologia che questo tipo di arte abbraccia. Lo stesso utilizzo di "Canto a Tenore" molte volte viene confuso con "Canto a Tenores". Si può pensare che i tenores siano i quattro componenti del coro, ma non è così. Questi elementi vengono infatti chiamati Boghes e vanno a formare Su tenore (singolare). Con il termine "Sos tenores" si va a indicare invece la pluralità di gruppi che eseguono questo tipo di canto. In altri casi "su tenore" va a indicare l'insieme di "bassu", "contra" e "mesu 'oghe", che fungono quindi di accompagnamento a "sa 'oghe".
"A tenore" deriva dal latino "Ad tenorem", ovvero in modo continuo e con tono di voce sostenuto. Questo sta a indicare la caratteristica ripetitiva dell'accompagnamento de su tenore. Altri tipi di terminologia sono rappresentati da:
"Cuncordu" che deriva dal latino "Cum Cordum", letteralmente con cuore, con sentimento, con armonia;
"Cuntrattu" derivante dal latino "Cum Tractum", significa con trasporto e con melodia (da cui trattu, traju, traviu);
"Cuntzertu'" o "Ussertu", dal latino "Cum sero", sta per con intreccio o con la traccia...Ed è così che direttamente dalla storia di Sardegna purtroppo non riconosciuta come dovrebbe,nasce ed arriva fino a noi una testimonianza dell'antichità umana sarda....
Ed ecco qua direttamente dal canale dell'Unesco Spagnolo il video promozionale di questo antico canto:



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Lungo le rotte della storia sarda...Karalis

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Documentario sui Nuraghes




Parte 1
Parte 2

Parte 3
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A myth in a mediterranean sea...




d
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Antica Cina


I primi insediamenti sul fiume Giallo risalgono al quinto-sesto millennio a.C. come dimostrano i fossili rinvenuti nella valle dello Huang-ho e dello Yang-Tze-Kiang. La popolazione si dedica prevalentemente alla coltivazione del miglio e del riso, grazie al terrazzamento naturale lungo le rive dei fiumi, e all'allevamento degli animali domestici (maiali). L'attaccamento del popolo cinese alla terra si è conservato intatto fino ai giorni nostri. Le case dei villaggi dell'antica Cina sono costruite in paglia, pietra e argilla. Soltanto nel II millennio a.C. si sviluppa la metallurgia. La cultura è molto sviluppata. Come in gran parte delle società agricole si afferma un calendario basato sulle fasi lunari per suddividere il ciclo annuale. E' anche fiorente lo studio dell'astronomia, della matematica e della medicina. Non meno importante è il ruolo dell'arte nella società cinese. Il maestro Confucio, guida etico-morale della popolazione cinese, colloca la musica tra le sei arti da insegnare e tramadare. Con la cultura si afferma anche la scrittura cinese, basata su un'organizzazione e un metodo originale rispetto alle scritture occidentali.


 La tecnologia è applicata alla metallurgia, all'artigianato tessile e all'agricoltura. La ceramica cinese viene prodotta mediante l'uso della ruota da vasaio e tramite stampi. Di grande importanza è anche l'invenzione della carta nel II secolo a.C. e l'allevamento del baco 
da seta nel settore tessile.


Dinastie cinesi:



Il governo del Paese è affidato a sovrani e imperatori ereditari. La prima dinastia ereditaria cinese di cui si ha notizia è quella degli Shang. Durante la dinastia Shang fa la sua comparsa la scrittura cinese ideografica che ancora oggi è alla base del sistema di scrittura cinese. L'impero Shang ha caratteristiche tipicamente feudali. La maggioranza della popolazione si dedica all'agricoltura ed ha l'obbligo di versare tributi ai nobili. Il territorio occupato dalla dinastia Shang è relativamente piccolo rispetto alla grande Cina, ed è circondato da altri regni feudali di minore importanza. Le continue incursioni delle tribù della Mongolia caratterizzano la storia cinese. La stessa dinastia Shang ne rimane travolta. Nel primo millennio a.C. i territori cadono sotto il controllo della tribù guerriera dei Chou, che mantengono e rafforzano il sistema feudale della società. Con alterne vicende l'impero cinese conosce momenti di espansione e disgregazione. Nel 500 a.C. le principali quindici città del territorio cinese diventano Stati indipendenti, iniziando a contendersi il controllo sui territori circostanti e confinanti. E' il periodo storico dei "Regni combattenti". Lo stato di guerra perenne apporta un gran vantaggio alla metallurgia. L'introduzione del ferro consente indirettamente a far aumentare la produttività agricola e la costruzione di grandi opere pubbliche. In questo periodo storico l'antica Cina conosce una fase di rapida crescita demografica.
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I Sumeri





E' opportuno considerare che la scrittura sumera apparve improvvisamente, come dal nulla, già perfettamente codificata. I sumeri avevano anche qualche conoscenza astronomica, per esempio sapevano che Nettuno era di colore verde-blu, e la loro matematica era basata su uno strano sistema di numerazione: il sistema sessantesimale e, nella forma più semplice, il sistema dodicesimale. Ed effettivamente conserviamo, dai sumeri (o dagli accadi?), la divisione del giorno in 24 ore, dell'ora in 60 minuti e dell'angolo giro in 360 gradi, e la "dozzina", cioè la quantità 12.

Per noi uomini moderni risulta "naturale" una aritmetica decimale (su base 10), cioè basata sulle dieci dita delle nostre mani, e risulta logicamente consistente anche la matematica ventesimale maya (su base 20), supponendo che usassero le dita delle mani e dei piedi per contare, mentre risulta totalmente incomprensibile il sistema di numerazione sumero basato sulla sessantina o sulla dozzina (cioè su base 60 o 12), a meno che non avessero sei dita per ogni mano...

Alcuni scienziati americani che hanno studiato i casi di persone con sei dita nel territorio degli Stati Uniti hanno scoperto che molti degli antenati di costoro provenivano da una popolazione stanziata in una regione dell'attuale Turchia, e in questa popolazione non è rara la nascita di persone con sei dita. Perché il progetto genetico di questa popolazione comprendeva questa struttura di mani a sei dita? Forse sono reminescenze di antiche ibridazioni con gli antichi dei?



I miti sumeri: Marduk, Assur, Tiamat e Gigamesh

Le tavolette di Ninive riportano, nel poema Enuma Elish i miti religiosi sumeri relativi alla creazione del mondo. Marduk era l'eroe del poema (che risale ad un originale sumerico del II millennio a.C., ma ci è giunto in una versione assira del VII secolo a.C.) dove è narrato come egli sopraffacesse la dea Tiamat. Gli assiri accreditarono invece, all'interno della stessa leggenda, il dio Assur per la morte di Tiamat, così è possibile pensare che Assur e Marduk fossero in realtà la stessa divinità

All'inizio erano Apsu e Tiamat, dei degli oceani, dolce ed amaro. Tiamat è anche ricordata come "il Mostro del Caos". Da essi nacquero Lahmu e Lahamu, fratello e sorella, marito e moglie, e Anshar e Kishar, che sorpassarono i loro genitori in forza, bellezza ed abilità. Anshar e Kishar, oltre a molti altri dei, generarono Enlil, il dio del vento, e Anu, il dio del cielo, il quale generò Enki o Ea, il dio della sapienza e della magia, assai più grande del padre. Anu, benché fosse in teoria il sommo, aveva un'influenza minima nelle cose umane ed era Enlil, il suo braccio destro, che governava la Terra.

Ma i giovani dei erano chiassosi e disturbavano il sonno del vecchio Apsu, il quale andò da sua moglie e le disse: Li distruggerò, così potrò dormire. Tiamat ne fu sconvolta e gridò in preda all'ira: Non distruggiamo ciò che noi stessi abbiamo creato! Ma Apsu volle fare a modo suo e partì per vendicarsi dei figli e dei nipoti. Ea tuttavia, il più grande fra gli dei, lo avvolse nella sua magia e lo uccise, trasformandolo in una montagna dove Ea risiedette maestoso con sua moglie Damkina. Lì nacque Marduk/Assur, dio del sole e della vegetazione, il più grande degli dei e protettore di Babilonia (e, come Assur, di Ninive).

Nel frattempo Tiamat aveva meditato sul destino dello sposo Apsu e il suo cuore era colmo d'ira. Decise perciò di attaccare gli dei e distruggerli, e perfino Ea fu preso dal terrore. Alla fine, soltanto Marduk osò affrontare Tiamat in combattimento e, con l'aiuto di un forte vento che soffiava nella bocca della dea così da impedirle di chiuderla, Marduk scoccò una freccia che le si infilò in gola e la raggiunse al cuore. Quando Tiamat fu morta, Marduk tagliò in due il suo corpo, creando con una metà il cielo e con l'altra la terra. E Marduk fu esaltato come Re degli dei.

Marduk organizzò poi l'universo e creò l'uomo dalla creta e dal sangue della dea Tiamat.

Ogni anno, in primavera, il sacerdote e il popolo recitavano il mito della creazione, assieme al mito che trattava della morte e della resurrezione di Marduk.

Marduk riceveva l'attributo di dio della vegetazione, Tammuz, marito e figlio della dea madre Isthar. Isthar compare anche nella mitologia ebraica e si fonde con la dea Iside nel tardo mondo ellenistico. Più tardi, sotto la dominazione assira, Marduk fu eclissato da Assur (Ashshur) ma successivamente il potere si spostò nuovamente su Babilonia e Marduk fu riabilitato.

Gli scritti assiri e babilonesi mostrano assai chiaramente che il popolo considerava quei cambiamenti politici in Mesopotamia come il risultato dei sommovimenti nel regno degli dei.

Benché le feste di primavera fossero connesse al mito egizio di Osiride, l'atteggiamento religioso dei sumeri verso la morte era alquanto diverso. I sumeri si identificavano col morente e risorgente Tammuz - Marduk al fine di recuperare la salute piuttosto che per assicurarsi l'immortalità. Il poema epico Gilgamesh dimostra infatti che essi alla fine si adattavano all'idea della morte del corpo. L'eroe Gilgamesh, dopo aver visto il compagno morto Enkidu, immobile e senza respiro, parte alla ricerca di Ut-Napishtim, il corrispondente babilonese di Noè, al quale era stato svelato da Enlil il segreto dell'immortalità, dono che gli dei mesopotamici tenevano con gran cura celato agli uomini: Ut-Napishtim era perciò l'unico uomo che possedesse la vita eterna. Egli parla a Gilgamesh di una pianta che dà l'eterna giovinezza, e Gilgamesh infine trova la pianta ma solo per venirne derubato da un serpente; è costretto a intraprendere la via del ritorno e ad affrontare l'ineluttabilità della morte. La stessa concezione appare nel mito di Adapa, il quale rappresenta il genere umano: Adapa offende Anu, il dio del cielo, e si reca da lui per spiegargli il suo atto, dopo aver ricevuto da Ea, dio delle acque, l'avvertimento di non bere né mangiare nulla. Anu rimane colpito da Adapa a tal punto che gli offre il cibo e l'acqua della vita, ma Adapa li rifiuta senza rendersi conto di perdere così l'immortalità.

Gilgamesh ottenne anche dagli dei degli inferi che lo spirito di Enkidu ritornasse a parlargli della condizione dei defunti, dicendo: "Egli (il dio degli inferi) mi conduce alla casa dell'oscurità..., da cui una volta entrati non si esce più, per la strada dalla quale non c'è ritorno, alla casa i cui abitanti sono privati della luce, ove la polvere è il nutrimento e la creta il cibo. Sono vestiti d'ali come gli uccelli e non vedono la luce dimorando nell'oscurità".

I documenti mesopotamici descrivono l'aldilà come un triste, oscuro paese abitato da esseri "vestiti d'ali" che si cibano di terra e di creta.

Lo studioso ebraico, Dott. Zecharia Sitchin uno dei pochi studiosi al mondo capaci di leggere la scrittura cuneiforme sumera, offre una spiegazione del mito di Tiamat. Egli afferma di aver trovato notizie, in antichissime tavolette sumere, di un pianeta del sistema solare, Nibiru, ribattezzato "Marduk" dai Babilonesi, il dodicesimo pianeta, ancora sconosciuto agli astronomi, la cui orbita si avvicina a quella della Terra ogni 3600 anni (uno Shar), e durante uno di questi avvicinamenti, nell'epoca sumera, una moltitudine di duecento "angeli" , chiamati "Anunnachi" fu visto sciamare verso la Terra, da cui è derivata la classe dei giganti, di cui parla anche la Bibbia, che li chiama Anachim, i discendenti di Anak, e che erano avversari di Jahveh, il Dio d'Israele. Anche la mitologia greca parla dei Titani, giganti antropofagi che divorarono il dio Dioniso e che per questo furono fulminati da Zeus. I Titani, sei maschi e sei femmine, erano figli di Gea (dea della Terra) e di Urano (dio del cielo), ed anche Omero racconta di Polifemo, un ciclope antropofago con un solo occhio.

E' quindi facile vedere, nei Titani, il prodotto di ibridazioni tra esseri terrestri ed esseri celesti, in questo caso gli Anunnachi.

Il pianeta Nibiro-Marduk inoltre, secondo Zecharia Sitchin, in una delle precedenti orbite, ormai lontana nel passato, aveva distrutto Tiamat, il pianeta frantumato nella fascia degli asteroidi, e gli Anunnachi, i giganteschi abitanti di Nibiro-Marduk ne hanno portato notizia sulla terra, dove erano assurti a divinità, e questa memoria era stata incisa sulle più antiche tavolette di argilla che in seguito divennero il mito di Tiamat...

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Egitto



4000 anni prima di Cristo un popolo cominciò a coltivare la valle del Nilo, le cui acque fecondavano la terra e il cui corso forniva una via di navigazione per il commercio. Protetti dal mare, dalle montagne e dal deserto, questi contadini prosperarono e fondarono parecchi piccoli staterelli lungo 880 chilometri del corso del fiume finché, nel 3200 a.C. Mene (l'eletto) li riunì in una unica nazione, retta da un solo faraone, e questa struttura sociale e religiosa fu la loro caratteristica per i successivi 3000 anni.. Le loro credenze religiose conferivano al faraone la condizione unica di figlio o incarnazione degli dei. Fra le divinità egizie emerse la divinità solare, dietro il cui culto stava quello di un dio del cielo che dispensava la vita e il fuoco e generava la pioggia e le tempeste. Questa credenza è simile al mito del dio-falco Orus, che successivamente assunse le caratteristiche di una deità solare e più tardi fu descritto come il figlio di Ra, altra versione del dio solare, che a sua volta si identificò con Atum, creatore e padre degli dei...


Secondo l'archeologia ufficiale, durante la III dinastia, Soser (2700-2678 a.C.) ordinò la costruzione della prima piramide. Durante la V e la VI dinastia i faraoni si avventurarono all'interno dell'Africa alla ricerca di incenso, ebano, avorio, oro e pelli di pantera. A nord commerciarono coi Siriani in legno di cedro. Ma nonostante questi intensi commerci l'Egitto si indebolì poiché il crescente potere dei nobili (e, secondo gli archeologi, l'immane sforzo economico profuso nella costruzione delle piramidi), indebolirono l'autorità del faraone finché nel 2300 a.C., popoli invasori asiatici occuparono la zona del delta del Nilo mettendo fine all'antico regno.

Il regno medio ebbe inizio nel 2050 a.C. quando i re dell'XI dinastia, Amenemhet e i Sesostri riunificarono l'Egitto spingendo la loro influenza fino alla Siria e all'interno dell'Africa. Qui costruirono grandi fortezze, alla seconda cateratta del Nilo per controllare le vie del commercio con la Nubia, e a est del delta per tenere lontani gli invasori. Ma il medio regno cadde sotto gli invasori Hiksos (principi del deserto) che guidavano carri da guerra trainati da cavalli, i primi veicoli a ruota che gli egiziani avessero mai visto. Nonostante gli Hiksos avessero in seguito adottati i costumi degli egiziani, questi non li accettarono mai e nel 1570 a.C. i re di Tebe li cacciarono dalla valle del Nilo.

L'egitto entra così ella fase del nuovo regno. I re della XVIII dinastia conquistarono la palestina e la Siria, avendo Tutmose III condotto 17 campagne in Asia con un esercito di 20.000 uomini. Seguirono commercio e prosperità, ma le guerre scoppiate durante la XIX dinastia segnarono l'inizio di lunghe lotte tra l'Egitto e gli Ittiti dell'Asia Minore, lotte dall'esito incerto. Più tardi Ramsete III (1189-1157 a.C.) si trovò ad affrontare un popolo sconosciuto che aveva distrutto anche il regno degli Ittiti. Ramsete riuscì a riportare la vittoria, ma verso la fine del XII secolo a.C., l'Egitto perse il controllo sui possedimenti asiatici: l'impero egiziano volgeva al suo termine, e nonostante una breve ripresa sotto la XXVI dinastia (663-525 a.C.), nel 525 a.C. l'Egitto fu conquistato dal persiano Cambise.

Gli egiziani mantennero la loro civiltà per 3000 anni. A questa stabilità contribuirono la struttura sociale e le credenze religiose. L'egitto contava diversi milioni di abitanti, in maggioranza contadini che venivano assegnati dal faraone ai nobili proprietari e ai templi; vivevano in casupole di fango mentre i ricchi nobili possedevano grandi case con bagni, cortili e vestiboli. I contadini coltivavano frumento, orzo, lino, allevavano bestiame, pecore e maiali; gli artigiani fabbricavano martelli, seghe, trivelle di bronzo e rame; i gioiellieri creavano ornamenti d'oro, di turchese e di corniola.

Il popolo egizio onorava il faraone come un dio. La religione contava più di 2000 dei che governavano i vari eventi della vita come la nascita, la morte, la lingua, i numeri e così via. Osiride, dio della morte e Ra, dio del sole erano gli dei principali, onorati in tutto il territorio. Tutto l'egitto apparteneva al faraone ma molte famiglie ereditavano, di generazione in generazione, i possedimenti mediante il "documento della casa", trasmessi per linea materna, poiché le donne ricoprivano una certa importanza nella società egizia ed alcune divennero anche faraone (Nefertari, Nefertiti o Nafteta). Questa è una importantissima differenza rispetto a tutte le altre civiltà che sorsero nell'antichità, tutte basate su un sistema maschilista e patriarcale. Non era stato inventato il denaro come forma di moneta, i tributi venivano pagati in grano e con questo i faraoni pagavano i servi e alimentavano l'Egitto durante le carestie. I faraoni, sebbene potentissimi, avevano bisogno di sacerdoti e scribi per mantenere il regno a tale livello di civiltà poiché essi soltanto conoscevano l'astronomia, la matematica e una forma di scrittura per registrarle. I geroglifici non erano così efficienti come i caratteri sumeri, e la loro notazione matematica era molto poco pratica. Gli egiziani avevano ideato un sistema di cifre che permetteva loro di contare fino ad un milione, ma era un sistema mal costruito che richiedeva 27 cifre per scrivere il numero 999! Sebbene l'Egitto fosse meno evoluto della mesopotamia, la sua civiltà prosperò con successo anche attraverso i secoli in cui la mesopotamia era stata colpita dalle guerre e da semi-barbarie.

Nel XIV secolo a.C. Ekhnaton tentò di sostituire alla religione ortodossa un unico dio, Aton, simboleggiato da un disco solare, ma la nuova religione sovvertiva l'ordine sociale, che voleva che l'ordine cosmico dipendesse dal faraone e dal culto sacerdotale di Ammone-Ra (il "re degli dei") che circondava il faraone. Alla sua morte il nuovo faraone, Tutankhamon ripristinò il culto ortodosso di Ra. Poiché il faraone era l'intermediario fra gli dei e gli uomini in una società dove la sopravvivenza dipendeva dall'organizzazione dell'agricoltura, il culto del sole era la chiave non solo dell'ordine sociale ma anche della fertilità, e gli egizi collegarono l'immortalità del faraone col culto di Osiride, a simboleggiare la morte e la resurrezione che si verifica durante il ciclo annuale della vita vegetale, e si attribuì ad Osiride il governo dei defunti in un altro regno. A questo riguardo la religione egizia era assai complessa: c'era il Ka o spirito custode, che era l'essenza dell'individualità, e c'era il Ba o soffio, che dava vita al corpo. Nel rito noto come "Apertura della bocca" (che impiegava una "ascia sacra" di origine meteoritica), che simboleggiava l'immortalità, del faraone, l'anima veniva risoffiata nella mummia a commemorazione del dio Osiride, che ucciso e smembrato dal dio Seth, fu riportato in vita a quel modo dal proprio figlio Orus (Oro)...


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Il castigo divino...



Per "peste nera" si intende oggi la grande pandemia che uccise gran parte della popolazione europea durante il XIV secolo. Stime attendibili parlano di 25 - 30 milioni di mortisu 75 - 80 milioni di persone allora viventi in Europa.
Nel medioevo non si usava questa denominazione, e si parlava della "grande morìa" o della "grande pestilenza". Furono cronisti danesi e svedesi a impiegare per primi il termine "morte nera" (mors atra, che in realtà deve essere intesa come "morte atroce") riferendolo alla peste del 1347-53, per sottolineare il terrore e le devastazioni di questa epidemia.





"Nero" è quindi impiegato in senso metaforico. Anche se il termine odierno per indicare la peste in norvegese è "den svarte dauden". Nel 1832 questa definizione venne ripresa dal medico tedesco J.F.K. Hecker. Il suo articolo sull'epidemia di peste del 1347-1353, intitolato "La morte nera", ebbe grande risonanza, anche perché venne pubblicato durante un'epidemia di colera.
L'articolo fu tradotto in inglese nel 1833 e pubblicato numerose volte. Da allora i termini "Black Death" o"Schwarzer Tod" (Morte nera) vennero impiegati, soprattutto nelle aree anglofone e germanofone, per indicare l'epidemia di peste del XIV secolo...Molti ritennero che la peste fosse un castigo divino, e cercarono conforto nella religione. Movimenti religiosi nacquero spontaneamente in conseguenza della peste, o nel timore dell'epidemia, e molti di essi sfidavano il monopolio ecclesiastico sulla sfera spirituale. La vita quotidiana era segnata da rogatorie e processioni.
I flagellanti percorrevano le strade delle città. Il culto di San Rocco, patrono degli appestati, divenne particolarmente intenso, e i pellegrinaggi divennero più frequenti. In molti luoghi sorsero chiese votive e altri monumenti, come le cosiddette "colonne della peste", per la paura degli uomini e per il loro desiderio di essere liberati dal flagello.
Nella generale disperazione, vi furono altri che decisero di gustare ogni minuto della vita che gli restava: tra danze e musiche si tentava di allontanare se non il contagio, almeno il pensiero di esso.
L'economia non poteva reggere l'urto dell'epidemia. La mano d'opera moriva, fuggiva, o non riusciva più a svolgere il proprio compito. Per molti non aveva più senso coltivare i campi, se comunque la morte ben presto doveva raggiungerli.
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Breve riflessione 2



Viviamo in un tempo dove é più facile muoversi. Con le auto, i treni, gli aerei, si riescono a coprire grandi distanze; le case hanno tutti i confort, come la cucina a gas, il frigorifero il televisore, i caloriferi per il riscaldamento, i condizionatori....Le città come le case, di sera di accendono di mille luci, ci sono le insegne dei negozi, i lampioni nelle vie e anche parte delle strade che collegano i vari paesi, sono illuminate. Questo ha portato ad allontanare sempre più, fino a eclissarsi, dei piccoli insetti che durante le giovanili calde serate estive, hanno tenuto vivo quel filo sottile che lega la realtà con la fantasia: "LE LUCCIOLE". Come l' "inquinamento luminoso" ha contribuito a "spegnere" le lucciole, così l'informazione diretta di televisione, giornali ed internet, hanno fatto sparire la figura del "contastorie".  È per questo che l'impegno è a non spegnere la "lucciola" che é in tutti i bambini cercando di alimentarla con racconti che si rifanno a leggende e a miti.
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Il leone...





Personalmente uno degli animali che preferisco....Il leone è stato considerato il "re degli animali" fin dagli antichi egiziani. E' il più grande e imponente tra i carnivori africani. Il suo corpo risulta molto robusto e dotato delle possenti membra dei carnivori; la parte anteriore è più sviluppata di quella posteriore. La testa grossa e quasi rettangolare, termina con un muso largo e tronco; gli orecchi sono arrotondati.
Gli occhi dotati di pupille rotonde e gialle, sembrano fosforescenti. Le zampe appaiono più robuste di quelle di qualsiasi altro felide. La lunga coda termina con una punta cornea, coperta da un ciuffo di peli. La pelliccia è liscia, rasa e brillante; presenta un bel colore giallo-rosso vivace e bruno fulvo. In varie parti del corpo i peli terminano con punte nere, oppure risultano completamente neri. Nel maschio la testa e il collo si presentano ornati da una folta criniera, composta da lunghi peli lisci, che ricadono formando delle specie di matasse le quali arrivano sino alla radice delle zampe e sino alla metà del dorso e dei fianchi. La criniera appare giallo-fulva frammista a peli nero-rossicci. Esistono comunque leoni senza criniera. Un maschio adulto misura da 80 cm a un metro di altezzaLa lunghezza varia da 1,80 m a 2,40 m, oltre ai 60-80 cm di coda.
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